La Basilica


L'abbazia fu fondata nel 1007 dal conte Tedaldo di Canossa (nonno paterno di Matilde) attraverso una donazione ai monaci benedettini di metà dei terreni che si trovavano tra i fiumi Po e Lirone, sito importante per garantire il controllo della navigazione fluviale. Del precedente insediamento romano abbiamo poche tracce. Si trattava di un significativo centro spirituale, formato inizialmente da un piccolo nucleo di 7 monaci. Verso la metà dell'XI secolo Bonifacio di Canossa, signore del territorio, riedificò la chiesa, di cui rimangono pochi resti, e costruì l'oratorio di Santa Maria, tuttora esistente. Nel 1077, in occasione dell'incontro tra l'imperatore Enrico IV e il papa Gregorio VII a Canossa, Matilde, succeduta al padre Bonifacio, donò il monastero al papa, che a sua volte lo affidò all'abate dell'abbazia di Cluny, Ugo. Il monastero aderì pertanto alla riforma di Cluny e alle Consuetudines del monastero francese, che regolavano la vita, la liturgia ed anche l'architettura: la chiesa infatti fu ricostruita verso il 1130 secondo la tipologia cluniacense, con deambulatorio,cappelle radiali e transetto absidato. Il monastero di Polirone, molto potente, diventò in quel periodo un importante centro culturale, dotato di un celebre scriptorium, dove si trascrivevano i manoscritti sia per uso liturgico sia per studio. Al tempo della lotta per le investiture, fu uno dei principali centri propulsori della diffusione della riforma gregoriana nell'Italia settentrionale. Tra il 1115 e il 1632 ospitò la tomba di Matilde di Canossa, il cui corpo fu poi traslato nella basilica di San Pietro a Roma. Visse poi almeno due secoli, XIII e XIV, di continua decadenza spirituale ed economica, aggravata dalle lotte contadine (dei contadini non pagati o sottopagati) contro il monastero, mentre molte famiglie mantovane cominciarono ad impadronirsi dei beni monastici. Nel 1419 i Gonzaga, con Guido Gonzaga, divennero abati commendatari, cioè amministratori del monastero: essi si preoccuparono anche dell'aspetto spirituale della comunità monastica aggregandola nel 1420 alla Congregazione di Santa Giustina di Padova, divenuta poi Congregazione cassinese. La Congregazione, oltre ad una rinnovata spiritualità, promosse lo studio delle umanae litterae. Polirone ospitò anche autorevoli protagonisti della devotio moderna, un movimento legato a Padova e a Venezia che anticipava alcuni temi dell'evangelismo protestante; a Polirone fu ospite anche Martin Lutero durante il suo viaggio a Roma nel 1510. La chiesa fu ricostruita in forme tardogotiche, intuibili al di sotto delle ristrutturazioni di Giulio Romano che, infine, trasformò quasi completamente il complesso nella veste attuale. Tra Quattro e Cinquecento lo scriptorio del monastero rifiorì e ospitò filosofi e umanisti. Molto importante per la costruzione e ricostruzione del monastero fu la presenza dell'abate Gregorio Cortese, umanista e giurista: fu lui ad incaricare Giulio Romano della ristrutturazione del complesso nel 1540 e a chiamare a lavoravi i migliori artisti attivi fra Mantova e Verona, tra i quali il Correggio, il pittore veronese Girolamo Bonsignori e lo scultore Antonio Begarelli. A Paolo Veronese furono poi commissionate ben tre pale d'altare, di cui una è ora nella National Gallery di Londra, una è a Norfolk (USA) ed una terza, già a Londra, purtroppo distrutta in un incendio. La storia dell'abbazia nel '600 e '700 è storia d'inondazioni, di guerre e di saccheggi. Il monastero era impoverito a tal punto che l'abate nel 1633 vendette al papa Urbano VIII il corpo della contessa Matilde, sepolta nella chiesetta di Santa Maria, in cambio di una considerevole somma di denaro. Matilde ora riposa in San Pietro in un ricco sepolcro del Bernini, fu soppressa durante l'epoca napoleonica (1797). Per fortuna i libri e i manoscritti furono portati alla biblioteca comunale di Mantova e in buona parte salvati. Oggi si conservano tre chiostri, il refettorio grande, l'infermeria nuova e la basilica. Del periodo medievale rimane la chiesetta di Santa Maria, con un mosaico pavimentale datato 1151, un candelabro della fine dell'XI secolo e una "capsella" (dal latino capsa, "cassetta per libri o per frutta") di avorio (XII - XIII secolo). Nel museo dell'abbazia, allestito nell'antico refettorio, si ammirano due rilievi con i mesi di novembre e dicembre, attribuiti a Wiligelmo. Del Cinquecento, oltre all'architettura di Giulio Romano, sono interessanti la porta lignea d'ingresso del 1547, il coro ligneo di Vincenzo Rovetta (1550), le statue di terracotta del Begarelli, nel refettorio l'affresco sulla parete di fondo attribuito al Correggio e la tela con l'Ultima Cena di Girolamo Bonsignori. Si visita infine il grande scalone del 1674, decorato con stucchi.

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